sabato 14 aprile 2012

La guerra, l'amicizia, la follia

L'altro ieri, cioè giovedì scorso, ho finito di leggere un romanzo che non mi vergogno a definire un capolavoro. Un romanzo che, se conta la qualità e non il marketing, meriterà di essere letto anche tra 100, 200 o 1000 anni.

Si tratta del romanzo d'esordio dell'autore danese Jussi Adler-Olsen, famoso soprattutto per i suoi gialli incentrati sulla Sezione Q della polizia criminale di Copenaghen guidata dal commissario Carl Mørck.
Questo romanzo d'esordio, pubblicato nel 1997, purtroppo non è stato ancora pubblicato in traduzione italiana.
L'originale danese porta il titolo "Alphabethuset", nella versione tedesca (da me letta) "Das Alphabethaus" e in quella (apparentemente in preparazione) inglese "The alphabet house". Una traduzione italiana letterale sarebbe "La casa alfabetica" o "La casa alfabeto", ma nessuna delle due in realtà renderebbe l'idea.
Comunque, al di là del titolo, il romanzo rimane splendido ed è una vergogna che nessun editore italiano lo abbia ancora tradotto e pubblicato.

La storia comincia nel 1944, quando due piloti inglesi (amici d'infanzia) vengono abbattuti sul territorio tedesco. Riescono a salvarsi e, con varie traversie, a spacciarsi per ufficiali tedeschi feriti nel corpo e nella psiche a causa degli avvenimenti sul fronte.
Finiscono così in un lazzaretto, che di fatto è un manicomio, dove devono continuare a fingere, fino a che uno dei due non riesce a scappare e a ricongiungersi con le truppe alleate.

Alla fine della guerra sembra che quello che non è riuscito a scappare sia morto durante il bombardamento dell'area dove era il lazzaretto... però qui cominciano le sorprese.
Infatti, nel 1972, durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera, il pilota sopravvissuto riesce in qualche modo a riannodare i fili del passato e a scoprire qualcosa di doloroso e incredibile. L'amico creduto morto è invece ancora vivo e rinchiuso in una clinica neurologica tedesca, dove ancora viene creduto un ufficiale tedesco.

È ancora sano oppure è diventato folle dopo tutti gli anni di simulazione? L'amico fuggito e che si è ricostruito una vita ha delle responsabilità per la sua situazione? Simulare la follia rende di fatto folli oppure permette di salvarsi?
Tante domande e nessuna risposta. Ma uno splendido romanzo che spero prima o poi venga tradotto in italiano.

Per ora vi indico gli estremi dell'originale e della traduzone in tedesco che ho letto io. Spero un giorno di potervi indicare anche un'eventuale traduzione in italiano o inglese.

Jussi Adler-Olsen, "Alphabethuset", Cicero, Copenhagen, 1997 (danese)
Jussi Adler-Olsen, "Das Alphabethaus", DTV, München, 2012 (tedesco)

Saluti,

Mauro.

8 commenti:

  1. Ne scrivi con tanto entusiasmo che mi verrebbe voglia di leggerlo.Noto in me, però, uno strano cambiamento. Ho cioè, progressivamente, diminuito fino quasi a eliminarla del tutto la lettura di narrativa accompagnata, causa web, anche a una sostanziosa diminuzione della lettura di saggistica. L'esigenza, non so se reale o fittizia, dell'aggiornamento continuo, porta a leggere ugualmente tanto ma per la maggior parte sulla rete, abbandonando in parte il libro e forse un po' meno la rivista cartacea. Non penso che la minor necessità di letture di romanzi dipenda dal web, forse è solo una conseguenza dell'età o forse si manifesta perchè dopo aver letto i classici è difficile trovare qualcosa all'altezza.

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  2. Capisco quello che vuoi dire. Io ho la fortuna/sfortuna di passare due ore al giorno in treno e in treno per me è impossibile lavorare (quindi anche leggere "professionalmente"). Così il treno diventa il luogo per la narrativa o per la saggistica non legata al mio lavoro.

    Tornando al libro in questione: per me ha la potenzialità di diventare un futuro classico.

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  3. Sarà anche un romanzo bellissimo, scritto in maniera magistrale, peccato parli di due rinnegati. Di due uomini che non hanno avuto il coraggio delle proprie idee, che non hanno avuto il coraggio di essere orgogliosi della divisa che indossavano.

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  4. Lo hai letto, visto che dai un giudizio così tranciante e sicuro?

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  5. No, ovviamente. Ma questo lo hai scritto tu: "La storia comincia nel 1944, quando due piloti inglesi (amici d'infanzia) vengono abbattuti sul territorio tedesco. Riescono a salvarsi e, con varie traversie, a spacciarsi per ufficiali tedeschi feriti..." o sbaglio? Che siano due codardi è scritto nel tuo riassunto, non me lo sono inventato io.

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  6. Cioè, secondo te, in guerra cercare di salvare la pelle quando ci si trova isolati in terriorio nemico è vigliaccheria?
    Mi spiace, ma non sono d'accordo.

    E comunque io ho riassunto in un paio di righe un romanzo di quasi 600 pagine. Non è facile riassumere in maniera così estrema :-)

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  7. E comunque... non sarebbe mica il primo libro della storia a essere un capolavoro pur avendo protagonisti "negativi".

    Sempre che negativi lo siano veramente...

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  8. Sì, è vigliaccheria bella e buona. Mio padre non ha rinnegato la sua divisa: è stato catturato e internato in un campo di prigionia. Ci ha passato due lunghi anni, che lo hanno privato di una buona fetta di salute. E mio padre era un uomo normale, non un Eroe... ma mai gli è passato per l'anticamera del cervello di gettare la divisa e spacciarsi per inglese. Ne avrebbe avuto la possibilità e le capacità, ma non lo ha fatto.

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